Secondo la tradizione riportata in antichi documenti, Serrapetrona avrebbe avuto il suo nome da un certo Petronio, ricco e valoroso cittadino romano, qui rifugiato per sfuggire a persecuzioni.
Le sue origini, tuttavia, sono ancora più antiche; infatti, nel suo territorio, sono state ritrovate tracce di insediamenti che risalgono alle epoche paleo e neolitica. Difendono Serrapetrona due cinte murarie medievali con quattro massicce porte. Fin dai primi anni del '200 il paese era tutto stretto attorno alla chiesa di S.Clemente e al palazzo pubblico già sede del feudatario. Fu aggregata come libero comune al distretto di Camerino dalle autorità papali nel 1240 durante la lotta tra guelfi e ghibellini,e ne divenne poi parte integrante della Signoria. Di quell'epoca resta il ricco patrimonio di pergamene del comune, e opere pittoriche di Lorenzo D'Alessandro. Pochi centri nella regione vantano tanta splendida storia e tanta splendida arte.La sua storia si lega anche alla produzione di quell'ottimo vino spumante naturale "VERNACCIA". La produzione della vernaccia è una produzione secolare. Fin dai tempi più antichi è stata sempre uno dei più accreditati prodotti di queste terre. Lo stesso Dante ne era ghiottissimo : " ...e purga per digiuno le anguille di Bolsena e la Vernaccia." Purg. XXI.
La scoperta di un insediamento umano neolitico a Maddalena di Muccia (MC) nel 1965 ha riproposto agli studiosi la questione della presenza delle primitive civilta' nelle Marche. Fino a quell'anno, per il territorio gravitante intorno alla citta' di Camerino, tracce della civilta' neolitica e, come sembra, anche delle precedenti paleo e mesolitica, erano apparse nei bacini fluviali dell'Esino (Matelica 1888), del Potenza (Castelraimondo 1880-1884, Pioraco 1882, Palente e Torrone di Camerino rispettivamente 1925 e 1957) e del Chienti (Serrapetrona 1873-1887, Torre di Beregna 1882). La zona piu' ricca di rinvenimento fra tutte rimane la valle del torrente Cesolone lungo tutto il suo corso, dalla sella spartiacque vigilata dal fortilizio varanesco della torre di Beregna fino alla confluenza nel Chienti presso Le Grazie (Tolentino). Serrapetrona ne e' l'abitato piu' importante, situato a circa meta' del corso del torrente, e nel cui territorio comunale si trova quasi per intero il relativo bacino. In questa zona sono state individuate almeno sei stazioni disseminate lungo il tratto della strada di posizione, o anche detta del sale, che la solcava scendendo dall'Umbria per la sella di Gelagna attraverso la conca di Camerino e per Tolentino fino al mare. I numerosissimi reperti dell'industria neolitica con residui di quella paleolitica attestano l'insediamento umano in questa valle da almeno il quinto millennio a.C. Ospite del paletnologo Luigi Pigorini a Serrapetrona, Giuseppe Gnoli nell'estate del 1873 scopri' una prima stazione preistorica presso la piccola sorgente, detta La pisciarella, lungo la strada che sale tortuosa a Colleluce diretta a San Severino, sulla sinistra del torrente Cesolone, dove il taglio dell'attuale carrozzabile, realizzata in quegli anni, aveva messo in luce uno strato di terra nera e grassa dello spessore di un metro, scendente a valle per circa 20 - 30 metri, ricco di frammenti di silice, rozzissimi manufatti di terracotta, ossa, carboni e ciottoli bruciati. Lo scopritore non ebbe dubbi nell'attribuire alcuni di questi reperti alla fase piu' antica del paleolitico. Le ricerche, mai sospese nel frattempo, misero in evidenza la continuita' dello strato preistorico sulla sponda opposta del torrente nell'estate del 1887. Qui, in mezzo all'argilla adoperata per fabbricare mattoni da costruzione, lo Gnoli rinvenne ancora strumenti silicei. Contemporaneamente si ebbero fortunate ricerche in un fondo Fabrini sulla sinistra del Cesolone ma sulla sommita' di una collina, detta Pian delle Mure, a 4 km. dal paese e presso la strada che scende alla statale 77, che lo Gnoli chiama ´flaminiaª e che comunque e' un diverticelo della via consolare dall'antica Forum Flaminii, oggi San Giovanni Profiamma presso Foligno. In altro fondo Fabrini, lungo la vecchia strada per Tolentino, fu rinvenuto tra l'altro un dente di squalo usato dalle popolazioni primitive come arma da taglio. Intanto le ricerche si rivolgevano a monte dell'abitato di Serrapetrona. Lungo il sentiero, piuttosto una mulattiera, che risaliva la valle del Cesolone, esattamente dopo l'abitato di Castel San Venanzio, rasentando il torrente prima sulla sinistra e poi sulla destra, lo Gnoli rinvenne frammenti di silice lavorata. Ma nel settembre 1882 egli dedico' le sue ricerche ai campi presso la Torre di Beregna, che domina la sella spartiacque a circa 8 km. di distanza da Serrapetrona e da Camerino, dove convergono cinque valli: del Cesolone, di S. Eustachio, di Crispiero, della Rocca di Aiello e di Pozzuolo detta anche Valle Sorda. In poche ore egli raccolse oltre un migliaio di coltelli, raschiatoi, schegge e pochi manufatti di silice, tutti in superficie. Entro lo spazio di circa 300 mq. individuo' una vera e propria officina. Qui negli anni successivi raccolse molte migliaia di oggetti silicei interi o frammentari, alcuni appena sbozzati, altri di fattura piu' avanzata, altri ancora di finissima qualita'. La silice offriva colori e sfumature varie: rosso, roseo, giallo, grigio, bianco, ma sempre prevalente il rosso. Nessuna freccia, pochissimi i frammenti di terracotta, del resto assai rozza, un amuleto di steatite, una pietra calcarea forata da parte a parte, una levigata (probabilmente schisto argilloso) di forma triangolare. Il Rellini noto' una cuspide silicea di particolari caratteristiche che la accostavano a quella appartenente al laboratorio neolitico presso la via Flaminia alla confluenza del Burano coll'Albiano presso Fossombrone. Un'officina dunque attiva dal paleolitico al neolitico, i cui reperti, come quelli delle altre stazioni accennate, passarono al Museo Preistorico ed Etnologico Pigorini di Roma. L'Allevi ritiene appartenenti alla prima fase del paleolitico (lo chelleano o abbevilliano) quei ciottoli appena sbozzati destinati a rinforzare la mano nell'atto di colpire. Comunque e' noto che i prodotti dell'industria chelleana si riscontrano in Italia quasi esclusivamente ad oriente dell'Appennino. Il fatto poi che presso la torre di Beregna siano stati rinvenuti prodotti di questa lontana eta' della preistoria insieme ad altri del periodo munsteriano (paleolitico medio), come in altre stazioni del camerinese, non esclude, secondo il Pigorini, che quelli siano contemporanei a questi, come appartenenti a famiglie etnicamente derivate da altre paleolitiche che conservarono i prodotti litici caratteristici delle piu' antiche eta'. Nell'ambiente dove sorgera' Serrapetrona, particolarmente nei luoghi riferiti, la vita umana da quei tempi non ebbe soluzione di continuita'. Lo attestano gli oggetti rinvenuti nelle stesse stazioni a valle del paese appartenenti all'eneolitico, all'eta' del ferro e perfino ad epoca romana. Lo Gnoli e il Pigorini nella tavola IV presentano la fotografia di 15 oggetti con la didascalia Oggetti preistorici di Serrapetrona (v. figure) (1 - 2): 1) un coccio con ornati impressi; 2) un altro con ornato in rilievo; 3) un terzo con tubercolo; 4) ansa (manico) di un vaso di terra; 5) piede o base di altro vaso di terra, forse anche un coperchio; 6-8, 12-14) sei cuspidi di selce; 9-1 1) tre coltelli di selce; 15) una scheggia silicea piatta (discoide) (1). Uno stelloncino anonimo del ´Resto del Carlinoª (25 gennaio 1973) ci dava notizia di recentissimi reperti venuti in luce nei primi giorni del gennaio di quell'anno nei pressi di Carpignano. Durante lavori di sbancamento furono evidenziate tracce di una necropoli piceno-romana. Da una tomba riferibile al IV sec. a.C. furono rilevati una lancia e un coltello di ferro, una fibula, 3 terrecotte a vernice nera (una olpe e due skyphoi) che furono collocati al museo ´M. Morettiª di San Severino.
(1)Con lievi ritocchi abbiamo riportato in questo capitolo un nostro scritto: del 1970 pubblicato nel settimanale camerinese ´L'Appennino Camerteª. Il vocabolo Martuccia, oltre le tornanti che salgono dal ponte sul Cesolone verso San Severino, a circa 500 metri dell'abitato di Serrapetrona, ha stretto riferimento con gli scavi dello Gnoli nel 1873.
Serrapetrona e' un piccolo centro posto nel declivio delle pendici del monte detto "Schiena d'asino", a m. 494 S.L.M. Secondo la tradizione riportata in antichi documenti, nei quali si parla dei serrapetronesi come "filii Petroni", avrebbe avuto il suo nome da un petronio, cittadino romano di molta ricchezza e valore qui rifugiato per sfuggire a persecuzioni. Certo e' che la sua origine e' antichissima, perche' nel suo territorio, e precisamente in localita' Vallo e Capannaccie, si sono trovate tracce delle epoche paleo e neolitica. Nel medioevo fu dipendente del Ducato di Camerino. Capoluogo del comune omonimo di qualche interesse storico artistico e paesistico, noto per l'ottimo vino spumante naturale "VERNACCIA". La produzione della vernaccia e' una tradizione secolare. Fin dai tempi antichi e' stata sempre uno dei piu' accreditati prodotti di queste terre. La vernaccia tanto gradita al Boccaccio e al Papa Martino IV, il quale c'innaffiava le anguille di Bolsena. Pure Dante ne era ghiottissimo:" ... e purga per digiuno le anguille di Bolsena e la Vernaccia. "Purg. XXI. Nella storia di Camerino e dintorni del Conti, si riferisce che nel medioevo un polacco al soldo delle truppe mercenarie attratto dalla bonta' del prodotto offerto dai villici di Borgiano (frazione di Serrapetrona), esclamasse: "Domine Domine, quare non borgianastri regiones nostras?". Questa industria sta ora risorgendo a nuova vita adeguandosi ai tempi. Completamente fuori dai grandi itinerari, le strade circostanti non sono arterie di gran traffico e sono percorse solo da chi e' diretto al paese e ne viene. Entrando nel paese, ci si accorge che il mondo frenetico e rumoroso nel quale viviamo, e' rimasto alle nostre spalle e quindi scivoliamo nel passato. E' una sensazione gradevolissima, quasi fisica, che si accentua nell'istante in cui ci si rende consapevoli del silenzio che ci circonda, un silenzio da molti dimenticato. L'impressione e' ancora piu' profonda per chi giunga dalle avveniristiche citta' italiane. La campagna intorno tace, e questo silenzio antico si gode perche' non e' assoluto, perche' si percepisce in esso l'eco dello scrosciare dell'acqua della fontana e il sottile frusciare del vento. Il suono delle campane dell'orologio antico della piazza e' l'unico rumore ufficiale del paese. Ad accentuare di piu' questa atmosfera di serenita' e di poesia contribuisce molto l'aria pura, che si respira. Questo clima mite e salutare e' consigliato dai medici ai bambini gracili ed adulti esauriti. Seguendo la via S. Francesco siamo giunti verso la chiesa di Clemente ove si conservano bellissime opere d'arte, quali un bel Polittico di Lorenzo D'Alessandro San Severino, sec. XIII; una tavola a forma di croce, sec. XIII; croce stazionale sec. XV, e sotto l'intonaco delle pareti affiorano affreschi dei secoli XV e XVI. Salendo una scalinata di pietra, si entra nell'interno della chiesa. Qui le distanze tra la terra e il cielo si accorciano, c'e' la presenza di una fede alterata e piu' pura che ci tocca e allora si comprende come l'uomo abbia bisogno ogni tanto di ritrovare il vero se stesso, rinnovandosi, se non con un pretesto proprio, almeno per l'influenza motrice di un ambiente. Attiguo alla chiesa si trova il convento dei frati minori sec. XIV opera del Padre Beato Giovanni della Martella. Vi sono freschissime sorgenti di acque medicamentose. La loro fondazione e' remotissima e l'acqua che alimenta e' la stessa delle polle antiche. Sono costituite da piccole vasche, con arco romanico, e servirono un tempo anche agli artigiani dell'arte delle concia delle pelli. Altra opera d'arte la troviamo nella chiesuola di S. Maria delle Grazie (in fondo al paese) con affresco di Lorenzo D'Alessandro sec. XIII. Al centro del paese vi sono resti delle mura ed una parte dell'x Castello dei Duchi di Varano sec. XIV. Nell'archivio comunale si conservano preziose pergamene. Non mancano mete incantevoli per escursioni turistiche nel raggio di pochissimi chilometri. Seguendo la strada che ci collega con Camerino, a Km. 3,500 troviamo la frazione di Castel S. Venanzo m. 522 s.l.m., gia' castello murato, conserva la struttura medievale ed assai pittoresco. Nella chiesa parrocchiale vi e' un porticato con tracce di affreschi quattrocenteschi, altri affreschi affiorano dalle pareti nell'interno della chiesa ove si venera una crocifissione su fondo dorato, attribuito a Girolamo di Giovanni. Percorsi ancora 4 km. troviamo Villa D'Aria, m.654 s.l.m. altra frazione, con chiesa parrocchiale e croce di legno con dipinto Gesu' Crocifisso, della maniera del Crivelli sec. XV, e due pannelli a fondo dorato. Nei pressi del paese, si trova una sorgente carsica intermittente, di interesse geologico. Sulla vetta del monte (D'Aria), in posizione isolata e suggestiva trovasi la chiesa della madonna della neve o del monte, m. 788 s.l.m. Nella vicinanza vi si trova "La buca del terremoto" m. 799 accessibile per carrareccia. Escursione interessante per la grossa voragine aperta sul monte e la vicina pineta. Abbiamo anche nel territorio del comune un centro turistico adeguatamente sviluppato, e ormai conosciuto da molti. A quaranta chilometri dal mare, nella Vallata del Chienti, sulla strada (s.s. 77) che, attraverso gli Appennini, conduce a Roma, troviamo il pittoresco "Largo di Borgiano" detto anche di Caccamo. E' uno splendido angolo turistico che punteggia un poetico paesaggio pedemontano, meta quotidiana, dalla primavera all'autunno, degli amatori della pesca sportiva e degli appassionati della vela, del canottaggio e della motonautica, che vi si svolgono gare di rilevanza nazionale. Accorrono anche numerosi buongustai per gustare la varie specialita' gastronomiche che offrono gli alberghi - ristoranti.
Come libero comune Serrapetrona fu aggregato al distretto di Camerino dalle autorità papali nel 1240 durante la lotta tra guelfi e ghibellini. La vita politica e sociale dei suoi abitanti fu quindi regolata dagli statuti dei quali ammiriamo l'unica raccolta esistente del 1473, gelosamente custodita nell'Archivio comunale. è chiaro che sotto il dominio del Comune di Camerino, ma specialmente più tardi con la signoria dei Da Varano, le magistrature di Serrapetrona, pur conservando le vecchie denominazioni, subirono riduzioni di potere, come avvenne anche per gli altri piccoli comuni, già antiche pievi (FELICIANGELI), dotati di statuti propri ed assegnati a Camerino con giurisdizione vicariale per cui ebbero la definizione di terre raccomandate (1). Su di esse infatti pendeva la rivendicazione del Rettore della Marca perché non propriamente considerate pertinenti a Camerino, ma piuttosto terre confinarie del medesimo, che mantennero spirito autonomistico mai spento, semmai sminuito dal podestà o vicario che la città o i Da Varano vi nominavano. Le caratteristiche di queste terre raccomandate sono definite in un documento notarile del 6 gennaio 1362 (2) di cui diamo la traduzione: "Stabiliamo ed ordiniamo che gli uomini dei castelli di S. Anatolia, di Serra e di Sefro (3) e degli altri luoghi raccomandati del distretto non osino eleggere o chiamare alcuno a loro podestà, vicario, rettore, giudice o notaio da altra città all'infuori di Camerino o dei borghi della città; e il podestà, il capitano, come i signori Priori della città di Camerino, siano tenuti a chiedere ed ordinare per lettera che i comuni e gli uomini della terra di S. Anatolia e degli altri luoghi suddetti osservino le dette disposizioni". Con l'ascesa al potere della signoria dei Varano, dopo la distruzione di Camerino guelfa nel 1259, ad opera delle truppe di Federico II, Serra e numerosi altri castelli entrarono a far parte dei loro possedimenti. Per trecento anni quindi condivisero nel bene e nel male tutte le vicende di quel turbolento periodo storico. Poi passarono definitivamente alle dirette dipendenze della sede apostolica fino al 1861.
(1) Questi castelli riconosceranno la sovranità della seconda repubblica camerinese (1434-1443) e, caduto quel governo, stipuleranno vantaggiose convenzioni con la reggente Elisabetta Malatesta, vedova di Piergentile (1433). Le rivendicazioni della Curia pontificia assunsero talvolta atteggiamenti drammatici, poi si fini per riconoscere il fatto compiuto, mantenendo qualifica e prerogative di terre raccomandate.
(2) Ricavto dalla coperta di un bastardello contenente rogiti del notaio Bartolomeo di Nicola del Castello di S. Giovanni di Fiuminata negli anni 1405 - 1410, cred. 5 dell'Arch. Not. di Camerino. Pubblicato dal Gabrielli.
(3) Tra i luoghi raccomandati qui non è nominato Camporotondo. Ma quel plurale ci fa pensare che almeno qualcuno dei 4 o 5 che ritroviamo nominati, oltre questi quattro, negli Statuti di Camerino stampati nel 1563, ne avessero le prerogative già nel 1362.
Con l'unità della nazione italiana la provincia di Camerino fu ridotta a circondario di quella di Macerata, con inglobata anche Serrapetrona, fino al terzo decennio di questo secolo quando le circoscrizioni circondariali furono soppresse. L'anno 1870 il comune ebbe il suo primo corpo bandistico musicale che riscosse un ambito premio al concorso tenutosi a Camerino nel 1888. La bella istituzione, inoperosa nei periodi di guerra, subì varie vicende. Riprese nel 1947 e giunse, quasi priva di mezzi, con pochi aiuti e stentate risorse, ma con fervore e passione fino al 1970. Dal 1979, con più validi contributi, ha ripreso a funzionare con entusiasmo e costanza, valendosi di elementi giovani e col vantaggio di aver aggregato per la prima volta anche fanciulle e ragazze. Nel 1872 il nostro comune si distinse, insieme a quelli di Camerino e di Pievebovigliana, alla prima esposizione e fiera enologica del circondario. In seguito all'assassinio del re Umberto I, il commissario straordinario di Caldarola Giuseppe Fea pronunciò un discorso commemorativo ai cittadini di Serrapetrona il 29 luglio 1900. All'Esposizione Regionale Marchigiana di Macerata del 1905 il nostro municipio ebbe il diploma di Menzione di primo grado per la buona conservazione e il valore dei documenti custoditi nell'Archivio Comunale (31 ottobre). La sala consiliare del palazzo comunale ha immortalato sulla parete di fondo con altrettante epigrafi su marmo bianco venato quattro benemeriti cittadini: il 22 gennaio 1892 il sindaco Sebastiano Peda morto in quel mese; il giudice conciliatore e sindaco cav. Venanzio Cicconi morto il 25 febbraio 1913; il prof. cav. avv. Attilio Fabrini fondatore e presidente della Società Agricola-operaia (senza alcuna data); nel 1961 il cav. avv. Filippo Peda, il sindaco che ha mantenuto più a lungo il mandato di primo cittadino dal 1926 al 1946, morto nel 1958. Ricorderemo i dolorosi fasti dei caduti nelle due guerre mondiali illustrando le lapidi apposte sulla facciata della chiesa di S. Maria di Piazza. Non possiamo tuttavia passar sotto silenzio l'ultima bufera che si abbattè su tutta la nostra montagna tra il settembre 1943 e il giugno 1944.
A Serrapetrona, nella casa dell'arciprete Francalancia, sorse il primo movimento insurrezionale delle Marche quando, dopo il proclama del generale Pietro Badoglio, il 9 settembre 1943, Nicola Rilli ed il dott. Luigi Simoncelli di Macerata raccolsero un gruppo di giovani della zona e venti rifugiati che ai primi di ottobre raggiunsero il numero di 300. Vi aderirono 25 ufficiali dell'esercito, tra i quali il colonnello Costantino Ciuffoni, il maggiore Fernando Ciuffoni, Marco e Antonio Peda, Antonio Claudi. Più tardi si aggiunsero, insieme ai loro ufficiali, i nuclei dei carabinieri di Camerino, San Severino e Belforte. A Serrapetrona rimase di stanza il Battaglione "Buscalferri" al comando del tenente "Toto" (Antonio Claudi), mentre il battaglione formato dal Rilli (tenente "Lino"), che in seguito prese il nome di "Giammario Fazzini", stabilì la sua base operativa a Pozzuolo di Camerino con sei distaccamenti: a Letegge, Leteggiole, Statte, Torrone, Paganico e Valdiea. La sussistenza era organizzata a Serrapetrona con la valida collaborazione dell'arciprete Francalancia, don Ermanno Francesconi, Nicola Ciuffoni, dott. Aser Sestili, Guglielmo Virgili, Luigi Donati, Guglielmo Scagnetti. Prodighi di aiuti materiali e morali furono numerose famiglie, singoli cittadini, la totalità - possiamo dire - della popolazione del territorio comunale. I nomi di tutti sono ricordati nel volume del Rilli. Il battaglione, fornito di radio trasmittente, fu in stretta collaborazione anche con i battaglioni "Nicolò" al comando di Augusto Pantanetti operante nella zona Caldarola-Sarnano-Gualdo di Macerata con base a Monastero di Cessapalombo e "Capuzi" piazzato in zona Bolognola-Sfercia-Serravalle del Chienti e comandato da Antonio Ferri con base a Fiastra. Intento comune del battaglioni partigiani: disturbare le operazioni militari nazi-fasciste, accelerare la ritirata dell'esercito tedesco e liberare i territori da quello occupati. Passato l'inverno 1943-44 si delinea il crollo delle forze occupanti e l'azione partigiana si fa sempre più ardita con rischi di rappresaglie. Vengono organizzate scaramucce, catturati prigionieri. Partigiani dei battaglioni "Fazzini" e "Toto" nella notte tra il 16 e il 17 giugno fanno saltare i ponti dell'Arme e di Caccamo per tagliare la strada alle truppe tedesche in ritirata. Il 22 e il 23 giugno le retroguardie tedesche iniziano l'accerchiamento delle postazioni partigiane del monte di Letegge nell'intento di aprirsi la strada verso il nord con uomini armati di mitragliatrici pesanti e cannoni di piccolo calibro. La battaglia ingaggiata il 24 giugno si risolve col massacro di patrioti e civili nei villaggi di Letegge, Leteggiole e Pozzuolo e con l'esecuzione finale a Capolapiaggia. Un gruppo di superstiti del battaglione del tenente "Lino", logorati dal combattimento, sfiniti dalla stanchezza e dalla fame, feriti, sempre sotto l'insistente martellamento del fuoco nemico, riesce a riparare a Castel San Venanzio e quindi a Serrapetrona. Di qui, ad evitare rappresaglie alle popolazioni locali, unitisi al battaglione "Buscalferri" raggiungono a Fiastra la base del battaglione "Capuzi". Il 25 giugno, i tedeschi, gettatisi all'inseguimento delle bande partigiane, compiono saccheggi e violenze a Castel San Venanzio. Attestati su quelle alture bloccano la valle del Cesolone con scariche ripetute di mitragliatrice. Ne rimane vittima una donna del villaggio salita in montagna per falciare l'erba. All'approssimarsi delle truppe nemiche le popolazioni di Castel San Venanzio e di Serrapetrona fuggono terrorizzate. Restano sul posto i parroci e pochi coraggiosi. Quello stesso giorno retroguardie tedesche appostate sulle alture di Borgiano cannoneggiano Valcimarra e l'alta valle del Chienti. Il giorno dopo riprende il fuoco intenso di cannoni e mitragliatrici in direzione delle zone alle spalle di Pievefavera ed ancora su Valcimarra. Le popolazioni fuggiasche e disperse risalgono le pendici dei monti in preda al panico. Tre giorni si ripetono le scorrerie e i saccheggi. Serrapetrona, accerchiata il giorno 26, è destinata alla distruzione come covo dei partigiani. Le abitazioni vengono saccheggiate e devastate, rastrellati i pochi rimasti, fatto saltare il deposito di munizioni partigiane. La più grave minaccia viene scongiurata per il generoso trattamento dichiarato dai prigionieri tedeschi, in parte feriti, trovati sul luogo dai loro camerati. L'occupazione dura fino alle prime ore del 30 giugno, quando i tedeschi, decisa la ritirata, fanno saltare il ponte sul Cesolone verso San Severino. Lo stesso giorno i reparti tedeschi lasciano Borgiano. Il primo luglio giungono le formazioni partigiane della Maiella che portano l'annunzio della pace e della libertà alle popolazioni ancora atterrite e disperse. Per noi la guerra era ormai finita, ma bisognò attendere il 1945 per la liberazione dell'Italia settentrionale. Si venivano intanto risanando le ferite materiali e morali dell'infausta vicenda bellica. L'Italia realizzava finalmente il sogno di Mazzini proclamando la repubblica, mentre i nostri comuni riconquistavano le loro amministrazioni democratiche. Primo sindaco di Serrapetrona fu eletto l'avv. Filippo Peda. La vita si riaccese a poco a poco nel lavoro e nella fiducia di un avvenire migliore ed anche Serrapetrona conobbe momenti di felice ripresa, anche se proprio negli anni '50 venne a cessare l'antichissima fiera di merci e bestiame che si celebrava ogni anno il 20 di luglio. La prima Mostra della Produzione Artigiana e d'Arte, organizzata dalla "Pro Loco" per iniziativa e con il valido e geniale impegno del suo presidente Rinaldo Antolini coadiuvato dall'arciprete, dal 6 al 13 giugno 1954 al primo piano sopra il teatro in un'ala dell'ex convento di S. Francesco, ebbe un'ottima riuscita per partecipazione di espositori e visitatori; tra questi ultimi le autorità provinciali ed esponenti delle attività commerciali e artigianali della regione marchigiana. Particolarmente apprezzate l'opera pittorica della concittadina Augusta Bocci e le xilografie di Anna Maraviglia Santancini. Notevole realizzazione fu l'acquedotto "della Collina" inaugurato nel 1973. Il 30 settembre di quello stesso anno ci fu la solenne cerimonia della consegna della decorazione ai reduci della prima guerra mondiale. L'anno successivo, 1974, venne statizzata col n. 502 la strada Caccamo - San Severino in raccordo con la diramazione per Piandipieca a sud e per Cingoli e Iesi a nord. Abbiamo percorso una lunga serie di anni, anzi di secoli, trattenendoci ad illustrare il passato non inglorioso di un piccolo centro ricco un tempo di uomini e di opere. Ci auguriamo che, come tutta la nazione italiana, anche Serrapetrona ritrovi l'antica "madre" e, secondo l'insegnamento di Virgilio, oggi più attuale che mai, torni ad apprezzare l'attività dei campi, la vita all'aria aperta, a ripopolare queste belle contrade, restituire ai suoi cittadini vera serenità e benessere affinché non si spenga la fiamma accesa dai primi abitatori di questi colli.